E’ morto Ermanno Olmi, regista ‘diverso’ dagli altri (2 / 2)

I suoi ‘padroni’ notarono la sua passione per il cinema e capirono il suo talento, perciò gli affidarono una cinepresa 16 mm con l’intento di filmare l’attività della loro società. Olmi accettò con entusiasmo l’incarico: girò ben 40 titoli in quello che potremmo definire ‘cinema industriale’, in cui però giocava un ruolo importante anche il fattore umano. Ad esempio nei primi anni ’70 curò, per conto della Rai, una sorta di documentario “Recuperanti” con due raccoglitori di residui bellici ad Asiago: un intreccio di solitudine e solidarietà.

Molti lo hanno spesso associato a Pasolini, sia perché contemporanei, sia perché entrambi neo realisti. I protagonisti di molti loro film sono ‘gli ultimi’, l’Italia ‘vera’ in un certo senso, non gli attori belli e strapagati. E anche perché entrambi erano piuttosto ‘polemici’ e sul set facevano di tutto. Olmi è stato infatti anche sceneggiatore, produttore, scenografo e direttore della fotografia. Nella ‘seconda parte’ della sua carriera ha lasciato gran parte di questi incarichi all’altrettanto talentuoso figlio Fabio.

La sua è stata una carriera ricca di riconoscimenti: una Palma a Cannes, due Leoni a Venezia, di cui uno alla carriera, consegnato da Adriano Celentano nel 2008, oltre a tanti altri premi per la regia. Come tutti, ha prodotto anche opere di scarso successo e altre per cui si è preso numerose critiche. Un esempio fu un documentario sulla Milano da bere nel 1983, che non piacque ad alcuni ‘potenti’. Infine è degno di nota “L’alberto degli zoccoli”, documentario girato nella sua terra interamente in bergamasco, con sottotitoli italiani. Mancherà a tutti, specialmente agli appassionati di cinema italiano.