Fino a 5000 euro di multa a chi, dal 1° luglio 2018, paga lo stipendio in contanti. A partire da questa data infatti è obbligatorio utilizzare strumenti tracciabili nel pagare gli stipendi, a meno che i lavoratori non facciano parte di alcune categorie particolari.
Nel comma 910 dell’art. 1 della legge n. 205/2017 si evince che “i datori di lavoro o committenti corrispondono ai lavoratori la retribuzione, nonchè ogni anticipo di essa, attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi…” ed elenca il bonifico sul conto indicato dal lavoratore, gli strumenti di pagamento elettronici, il pagamento in contanti presso lo sportello, bancario o postale, in cui il datore di lavoro ha un conto corrente aperto di tesoreria con mandato di pagamento, l’emissione di un assegno consegnato al lavoratore o a un suo delegato.
La firma del lavoratore sulla busta paga, che come è noto, da sempre si pone a conferma dell’avvenuto pagamento dello stipendio, pare non sia più ritenuta una prova valida o almeno sufficiente.
La riforma riguarda i rapporti di lavoro subordinato, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, i contratti di lavoro nelle cooperative con i propri soci. Sono esclusi dalla normativa “i dipendenti delle PA, i domestici, i tirocinanti, i titolari di borse di studio e i lavoratori autonomi occasionali” come si legge in responsabilecivile.it.
La legge prevede sanzioni, per chi non rispetta la normativa, che vanno da un minimo di 1.000 euro a un massimo di 5.000 euro, anche nel caso in cui il pagamento non fosse andato a buon fine (bonifico revocato o l’assegno annullato). Il datore di lavoro, in questo caso, ha trenta giorni di tempo a partire dalla notifica del verbale in cui viene contestata l’operazione, per far ricorso amministrativo facendone richiesta al direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro della propria sede territoriale.