Ponte Morandi: spunta un’ipotesi clamorosa sul crollo del viadotto

Mentre le Fiamme Gialle hanno sequestrato la documentazione relativa al Ponte Morandi, spunta anche una nuova clamorosa ipotesi sulla causa del crollo. Secondo questa nuova teoria, il tutto sarebbe addebitabile ad una bolla d'aria. Ecco i dettagli.

Ponte Morandi: spunta un’ipotesi clamorosa sul crollo del viadotto

Il crollo del Ponte Morandi ha inghiottito in un attimo la vita di 43 persone, e con esse ha sbriciolato non poche certezze fino ad oggi date per incontrovertibili. Da quel 14 agosto tutti noi ci sentiamo più vulnerabili: possiamo fidarci delle infrastrutture che solo qualche decennio fa erano considerate il simbolo più fulgido dell’ingegneria italiana nel mondo?

In effetti, veder cadere il viadotto come un castello di sabbia ha innescato un mare di dubbi e polemiche. Se a caldo a farsi largo è stata l’ipotesi della scarsa manutenzione, con il passare dei giorni il collasso è stato giustificato con delle argomentazioni dal taglio più tecnico ed articolato. 

Fornire un resoconto su quanto accaduto non sarà semplice nè tanto meno veloce. Mentre la Guardia di Finanza ha già sequestrato la documentazione relativa all’infrastruttura, i consulenti della procura di Genova hanno formulato un’ipotesi alquanto sorprendente sulle cause del crollo. Ad aver provocato il disastro sarebbe stata una bolla d’aria creatasi durante la fase di iniezione del cemento che ingloba i trefoli, in altre parole i cavi d’acciaio dello strallo. 

La bolla d’aria avrebbe corroso e arrugginito i cavi stessi che non sarebbero più stati in grado di reggere la struttura. Non a caso le indagini dei magistrati si sono immediatamente indirizzate sul crollo dei tiranti di calcestruzzo. Del resto lo stesso Riccardo Morandi, l’ingegnere che ha progettato il viadotto sul Polcevera, nel lontano 1979 aveva lanciato l’allarme sulla necessità di far fronte alla corrosione dovuta alla salsedine e all’inquinamento. I venti marini con un’alta concentrazione di salinità e i fumi dei camini del vecchio stabilimento dell’Ilva, venivano visti come una minaccia all’integrità del ponte che attraversava il capoluogo ligure.

Di fatto nella relazione da lui firmata quasi 40 anni fa, si lanciava un chiaro ed ineludibile allarme. “Penso che prima o poi, e forse già tra pochi anni, sarà necessario ricorrere a un trattamento per la rimozione di ogni traccia di ruggine sui rinforzi esposti, con iniezioni di resine epossidiche dove necessario, per poi coprire tutto con elastomeri ad altissima resistenza chimica“. Da qui si poteva dedurre che la degradazione dell’infrastruttura era sopraggiunta in maniera decisamente più rapida di quanto non si potesse immaginare. 

Senza poi dimenticare che negli anni successivi, diverse furono le segnalazioni su possibili rischi legati alla struttura. L’Espresso avrebbe altresì scoperto una lettera del 28 febbraio 2018 in cui il direttore delle manutenzioni di Autostrade metteva in guardia il Ministero delle Infrastrutture sui pericoli dovuti al ritardo nell’approvazione del progetto esecutivo di rinforzo del ponte. Non solo: la lettera in questione sarebbe solo la seconda di cinque missive scritte nel periodo compreso tra il 6 febbraio e il 13 aprile di quest’anno. 

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