Costretto a lavorare di domenica, si sfoga su Facebook: licenziato. E il tribunale dà ragione all’azienda

Un vice-capo reparto di un'azienda alimentare di Parma aveva criticato su Facebook il datore di lavoro per averlo obbligato a lavorare di domenica. Licenziato, il Tribunale ha dato ragione all'azienda.

Costretto a lavorare di domenica, si sfoga su Facebook: licenziato. E il tribunale dà ragione all’azienda

Il lavoro nobilita l’uomo, recita un antico adagio; ma quando non si ha un attimo di tregua, della nobiltà ce ne si fa ben poco, suggerirebbe la ragione. Ed è questo ciò che deve aver pensato un dipendente di un’azienda di Parma, operante nel settore della distribuzione alimentare, licenziato a causa di un post su Facebook.

I licenziamenti determinati da sfoghi più o meno inverecondi sui social network si sono moltiplicati negli ultimi tempi, e spesso e volentieri i tribunali hanno ravvisato eccessi di zelo da parte dei datori di lavoro, costringendo le aziende a riassumere i riottosi o a riconoscere loro un sostanzioso indennizzo economico.

Ma in questo caso l’epilogo è stato ben diverso. Lui, vice-capo del reparto frutta e verdura dell’azienda, aveva dovuto incassare la volontà dei vertici aziendali di far lavorare i dipendenti anche la domenica, e per questo si era sfogato su Facebook con il seguente post:

E’ un’offesa ai lavoratori che lavorano la domenica! Tanto meritate solo disprezzo egregi padroni, ci costringete a lavorare di domenica con dei discorsi che sanno di ricatto. Anzi li costringete!“.

L’effervescente critica del vice-capo reparto sembra dunque fatta a nome, più che di sé, delle cosiddette “ultime ruote del carro” costrette, loro malgrado, a fare gli straordinari sette giorni alla settimana; pena ripercussioni sul posto di lavoro.

Così il protagonista della vicenda si è immediatamente erto a difensore degli oppressi, ed ha urlato su Facebook tutto il suo sdegno per la decisione dell’azienda. Costringere i dipendenti a lavorare di domenica, per lui era un sopruso. E come “premio”, ha ricevuto una lettera di licenziamento in tronco per giusta causa. Il lavoratore però non si è arreso ed ha portato la questione al Tribunale del lavoro, chiedendo il reintegro ed uin risarcimento dacché sua moglie era in attesa di un bambino.

Ma il Tribunale, stavolta, ha dato ragione all’impresa: il giudice ha infatti stabilito che il vice-capo reparto rivestiva un ruolo “di particolare responsabilità nella gestione del personale“, dunque avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione al vincolo fiduciario con l’azienda.

Recita la sentenza: “Il ricorrente, perfettamente conscio dell’illegittimità del suo comportamento, cerca di spostare l’oggetto del giudizio, da un evidente episodio di diffamazione del suo datore di lavoro, a quello di un preteso esercizio di critica dell’odierna società e delle sue presunte storture“.

Il post aveva chiara “valenza diffamatoria” visti i termini utilizzati, stando al Tribunale del lavoro di Parma. Pertanto, al difensore dei dipendenti oppressi della ditta in questione non rimane ora che cercare una nuova occupazione.

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