Ermanno Olmi, regista visionario e imprevedibile del cinema italiano, è morto ad Asiago, in provincia di Vicenza, presso l’ospedale in cui era ricoverato da un po’ di tempo. In un mondo cinematografico omogeneo come quello di oggi, lui è stato spesso etichettato come il cantore della gente comune, delle piccole cose e proprio per questo era un regista imprevedibile, unico nel suo genere.
Il cinema proposto dal regista 86enne si distingueva per una serie di colori diversi e per una serie di generi che spaziavano dal racconto alla fiaba sino all’allegoria. Un regista che ha saputo farsi volere bene e ha conquistato tutti.
La carriera di Ermanno Olmi
Il suo percorso artistico con la macchina da presa comincia girando diversi documentari, di cui si contano tantissimi titoli: da La diga sul ghiacciaio a Tre fili fino a Milano, sino ad altri. Sono documentari che riguardano il mondo e l’attività della società elettrica con le persone e i primi operai che vi lavorano.
Gli anni 50 sono gli anni dei corti e dei lungometraggi. Il primo lungometraggio si intitola Il tempo si è fermato presentato anche alla Mostra del Cinema di Venezia. Sempre al festival di Venezia, presenta un altro lungometraggio Il posto in cui si racconta del primo impiego da parte di due giovani negli anni del boom economico a Milano.
Il capolavoro de L’albero degli zoccoli
Il 1965 è l’anno del documentario sulla biografia di Papa Giovanni XIII dal titolo E venne un uomo, in cui il regista esprime tutto il suo credo religioso, anche se si focalizza sulla figura umana del Pontefice. Il suo capolavoro rimane L’albero degli zoccoli che ottiene il Premio di Palma d’Oro a Cannes e che lo include nei grandi del cinema italiano. L’albero degli zoccoli è una fiaba in salsa contadina in cui i protagonisti sono attori non professionisti e che recitano in dialetto bergamasco.
Oltre ad essere regista, ha scritto anche alcuni libri, tra cui: Ragazzo della Bovisa, L’Apocalisse è un lieto fine. Storia della mia vita e del nostro futuro, edito da Rizzoli.