Austerlitz: una necessaria riflessione sull’importanza della memoria

Il film documentario Austerlitz uscirà nelle sale il 25 gennaio. La pellicola pone lo sguardo sui numerosi visitatori del museo di Sachsenhausen. Cosa li spinge a recarsi in quel luogo?

Austerlitz: una necessaria riflessione sull’importanza della memoria

Il film documentario Austerlitz, ispirato all’omonimo romanzo di W.G. Sebald dedicato all’Olocausto, inoltra lo spettatore in una giornata qualunque all’interno del museo di Sachsenhausen.

Sachsenhausen era un campo di concentramento nazista completato nel 1938, fra i più grandi della Germania, ove morirono 30.000 prigionieri. Le voci che alimentano le immagini sono quelle delle guide turistiche che illustrano le atrocità inflitte ai prigionieri dalle SS e dalla Gestapo.

Il regista Sergei Loznitsa posiziona la macchina da presa nei luoghi cardine del museo di Sachsenhausen per farci scorgere i visitatori nella propria verità: lunghissime macrosequenze sono state girate con camera fissa, celata ai presenti per sfuggire ad alcun condizionamento. I turisti, afflitti da evidente noia e svogliatezza, indossano magliette con slogan come “Just Don’t Care”: perlustrano i luoghi intrisi dal sangue di innocenti, con evidente assenza di empatia, immortalandosi in posa nelle camere a gas o presso i pali di impiccagione.

Un selfie nel museo degli orrori “reali”. Nella beatitudine, stolta, dell’incomprensione del momento intraprendono la visita come fosse un posto turistico qualunque. L’aberrazione morale dell’essere umano nella sua semplicità. Gli spettatori, persi in scatti fotografici infiniti, non riescono a cogliere la drammatica testimonianza del passato: l’eliminazione di alcuna riflessione trasforma il museo in un mezzo di autocompiacenza ritrattistica on line.
I campi di concentramento dovevano divenire musei?

Convertire un luogo della memoria in un percorso museale ortodosso, tinteggiato da comitive dal pranzo al sacco, da guide turistiche monocorde, distrugge il percorso introspettivo necessario all’immedesimazione per la congrua comprensione dell’Olocausto.

Loznitsa non intende giudicare i turisti, criminalizzandoli, rilascia un’istantanea sulla realtà della coscienza collettiva, tristemente avvezza all’orrore, indifferente dinnanzi alla storia che ha consegnato il presente e che costruirà il nostro futuro. Una massa amorfa, priva di emozioni.

Il regista Sergey Loznitsa, nato il 5 Settembre del 1964 nella città di Baranovitchi, in Bielorussia, ha diretto altri film documentario denuncia: “Maidan” nel 2014 e “The Event” nel 2015.

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