Lo scarso afflusso di sangue al cervello causa la balbuzie

Dai risultati di un recente studio statunitense è emerso che la balbuzie potrebbe essere causata da un ridotto afflusso di sangue in alcune aree del cervello coinvolte nell'elaborazione del linguaggio.

Lo scarso afflusso di sangue al cervello causa la balbuzie

Si stima che nel mondo ci siano più di 70 milioni di persone, prevalentemente di sesso maschile, che soffrono di balbuzie; di questi circa un milione si trova in Italia.

La balbuzie, o tartagliamento, è un disturbo del linguaggio che generalmente si manifesta con ripetizioni involontarie di sillabe e suoni, oltre che con interruzioni di parole.

Di balbuzie hanno sofferto diversi personaggi storici e del mondo dello spettacolo, tra cui Marco Tullio Cicerone, Virgilio, Winston Churchill, Alessandro Manzoni (autore de “I Promessi Sposi”), Lewis Carroll (autore de “Alice nel Paese delle Meraviglie”), Italo Calvino, Napoleone Bonaparte e Marilyn Monroe, ma anche “cervelloni”, come Isaac Newton, Charles Darwin e Aristotele.

Gli esperti, nonostante conoscano da secoli questo disturbo, non sono ancora riusciti a mettersi d’accordo sulle cause che possono provocare la balbuzie. Si pensa perciò alla balbuzie come ad un disturbo multifattoriale, che presenta una predisposizione ereditaria.

Tuttavia, un recente studio, condotto dai ricercatori del Children’s Hospital di Chicago, guidati da Bradley Peterson, e pubblicato sulla autorevole rivista scientifica Human Brain Mapping, ha dimostrato che la causa della balbuzie potrebbe essere anche un ridotto afflusso di sangue nelle regioni del cervello preposte all’elaborazione del linguaggio.

In particolare, le regioni del cervello interessate sarebbero l’area di Broca della corteccia frontale, dove originano le frasi, e il lobo posteriore, dove invece vengono rielaborate le parole esterne, cioè le parole che si ascoltano. In altri termini, più il flusso di sangue è limitato e maggiore è la gravita della balbuzie.

I ricercatori sono giunti a questa interessante conclusione sottoponendo un campione di volontari ad un esame non invasivo chiamato spettroscopia protonica di risonanza magnetica (H-MRS), in grado di monitorare il comportamento dei neuroni. Durante questo esame il paziente viene sottoposto ad un campo magnetico e degli impulsi eccitano un volume specifico cerebrale.

I ricercatori che hanno partecipato a questo studio parlano di “risultati decisamente sorprendenti che aprono una nuova finestra sul cervello”.  

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