Operazione Triton, le fatiche organizzative dell’Italia

Non mancano i contributi: quel che manca è un'organizzazione disincrostata da interessi. Frontex sta facendo verifiche in atto, a partire dagli accordi del 2014.

Operazione Triton, le fatiche organizzative dell’Italia

Il risultato ottenuto in sede Frontex l’11 luglio scorso, alla richiesta di una revisione dell’operazione Triton ha dato risultati su cui riflettere e per questo è stato concordato con il vertice dell’Agenzia un immediato lavoro di gruppo per eseguire ulteriori verifiche e studiare un miglioramento operativo di Triton che tenga conto delle decisioni raggiunte a Tallinn sul piano previsto dalla Commissione Ue. Le tre regole di Tallinn sono un codice per le navi delle Ong, un nuovo centro di coordinamento migranti in Libia, un maggiore controllo sul rilascio dei visti.

È da tempo che l’Italia ha una visione chiara su Triton: vuole che le navi della missione non attracchino solo in Italia, ma anche in altri porti europei. Ma la storia dice altro. Dal 2014, durante il governo Renzi l’Italia ha voluto e sottoscritto un trattato in sede Ue, lo ribadisce la portavoce di Frontex: “Il piano operativo di Triton afferma che l’Italia è il Paese ospitante della missione. Se qualche altro Stato volesse aggiungersi, da un punto di vista teorico, la possibilità ci sarebbe. Ma mi pare uno scenario molto complicato, anche perché le attività sono tutte guidate dalla Guardia Costiera italiana”.

Le attività di Triton sono tutte coordinate dalla Guardia Costiera italiana, ed è questa che decide la distribuzione delle imbarcazioni. Ufficiali italiani sono presenti su ogni nave e elicottero che partecipa all’operazione. È come se Triton operasse per i confini italiani e non in modo autonomo.

Nel terzo Allegato del piano operativo di Triton, si legge che “le unità partecipanti alla missione sono autorizzate dall’Italia a sbarcare nel proprio territorio tutte le persone intercettate e arrestate nelle sue acque territoriali, nonché nell’intera area operativa oltre le sue acque territoriali”.

Inoltre, le persone portate in salvo devono essere “portate in un posto sicuro in Italia e non altrove. Se altri Stati membri dell’Unione Europea volessero partecipare all’operazione Triton con le loro imbarcazioni nel Mediterraneo centrale, lo faranno solo se le autorità italiane lo richiederanno.

Soltanto 15 degli Stati membri dell’Ue contribuiscono volontariamente all’operazione Triton. Ma a conti fatti pare che l’Italia abbia già ricevuto ogni mese 2.900.000 euro per questa operazione da Islanda, Finlandia, Norvegia, Svezia, Germania, Paesi Bassi, Francia, Spagna, Portogallo, Italia, Austria, Svizzera, Romania, Polonia, Lituania e Malta. Il controllo di Frontex non avviene a caso. Grazie a questi contributi, infatti, l’Italia ha potuto mettere in movimento la propria economia, cercando soluzioni a lei più convenienti. Per questo, il richiamo di Frontex: invece di utilizzare i propri mezzi militari, avrebbe potuto risparmiare in una gara tra privati.

Bruxelles è pronta a dare un nuovo finanziamento a Roma per un importo di 58,21 milioni di euro, ma l’invito è chiaro: il finanziamento deve essere utilizzato immediatamente per l’accoglienza, e l’assistenza sanitaria e legale dei migranti che arriveranno durante l’estate.

Nonostante tutti gli aiuti, l’Italia non riesce a gestire l’emergenza migratoria. Secondo l’Unhcr, nello scorso anno, i migranti giunti in Italia sono stati 181.405 e 153.843 nel 2015. La Germania nel 2015 ha accolto un milione circa di migranti, e la ritroviamo tra gli stati dell’Unione Europea – sei su ventotto – che hanno accolto quasi l’80 per cento dei richiedenti asilo in Europa. Probabilmente, l’Italia non è ancora ben organizzata.

Continua a leggere su Fidelity News