Gasparri alla Boldrini: "Secondo lei la 13enne Giuseppina Ghersi doveva essere stuprata, uccisa dai partigiani?"

Maurizio Gasparri su Twitter ha interrogato Laura Boldrini in merito alla targa issata a Noli, in Liguria, in ricordo di Giuseppina Ghersi, la ragazza uccisa e torturata dai partigiani: una storia che ancora scinde l'opinione pubblica.

Gasparri alla Boldrini: "Secondo lei la 13enne Giuseppina Ghersi doveva essere stuprata, uccisa dai partigiani?"

Su Twitter il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato, ha chiesto alla presidente della Camera di esprimere la propria opinione sulla contrarietà dell’Anpi associazione nazionale Partigiani d’Italia  riguardo all’iniziativa di dedicare una targa alla ragazzina stuprata e uccisa dai partigiani pochi giorni dopo la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. “Una domanda semplice, ma risponda Laura Boldrini. Giuseppina Ghersi poteva essere stuprata, torturata, uccisa? È sbagliato dedicarle una targa?” ha sentenziato.

L’Anpi di Savona aveva motivato il proprio diniego dicendo che vi è pietà per una giovane vita violata e stroncata ma, che occorre ricordare la responsabilità della stessa, il fatto di essersi schierata con accanimento a fianco degli aguzzini fascisti e nazisti, autori di immani eccidi anche nella città di Savona e nella provincia. “Il fascismo è stato il male maggiore che il nostro Paese ha subito. Eravamo alla fine della guerra , è ovvio che ci fossero condizioni che oggi possono sembrare incomprensibili” ha affermato Samuele Rago, presidente provinciale dell’Anpi.

Giuseppina Ghersi, savonese di 13 anni, fu seviziata e uccisa da un gruppo di partigiani nel 1945: quello che accade in quei giorni è ricostruito nell’esposto di sei pagine che il padre di Giuseppina consegnò alla Procura di Savona per chiedere l’apertura di un’indagine. Giuseppina fu prelevata da tre partigiani, picchiata, seviziata, forse violentata, dinnanzi ai genitori che descrissero come gli uomini la presero a calci “giocando a pallone con lei” conducendola al coma.

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I partigiani decisero di rapare la ragazzina a zero, le dipinsero il cranio di rosso, la presero a calci, sfigurandola, per poi giustiziarla con un colpo alla nuca: il corpo fu buttato davanti al cimitero di Zinola. Giuseppina aveva vinto un concorso a tema e Benito Mussolini le aveva scritto una lettera di encomio: un grave indizio per l’accusa, si pensava che la giovane facesse parte delle Brigate Nere.

Vi è incertezza sulla vicenda, alcuni contorni sono sfumati: un certificato di morte, rilasciato nel 1949 dal municipio di Savona, riporta la data del 26 di aprile 1945, mentre altre fonti riferiscono il 30 aprile o il 1° maggio. Un atto efferato, crudele, paradigma di una guerra totale giunta a vertici di atrocità quasi impensabili.

Il voler dimenticare Giuseppina Ghersi, o glorificarla sull’altare del martirio, sono il degno manifesto di un Paese incapace di rielaborare il proprio passato, ed accettarlo: una bambina stuprata e uccisa per vendetta dai buoni e giusti non può certamente azzerare il male del nazifascismo. I buoni e i cattivi sono stati immersi in un delirio ove atti, oggi impensabili, si reiteravano ogni giorno, la violenza che genera violenza, da cui l’Italia contemporanea proviene.

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