"Scandalose. Vite di donne libere" di Cristina de Stefano

Venti biografie di donne straordinarie, trasgressive, emancipate, regine della propria mente, hanno affrontato la vita annunciando se stesse, senza preoccuparsi della moralità comunemente accettata, del pensiero unico consono.

"Scandalose. Vite di donne libere" di Cristina de Stefano

Nina Simone, Marguerite Duras, Claude Cahun, Niki de Saint Phalle sono tra le scandalose vite all’insegna della trasgressione raccontate nel libro di Cristina De Stefano, “Scandalose. Vite di donne libere”; le vite di 20 donne fuori dal comune, donne audaci che hanno disconnesso i preconfezionamenti esistenziali persistenti tramite la carriera artistica, il pensiero.

Donne con una vita travagliata, amanti, mariti, ammiratori adoranti, vere “cattive ragazze” che hanno scelto di erodersi nella libertà di essere se stesse. Vite iniziate talvolta nello squallore, nel buio, riscattatesi nell’arte, nella creazione, nella poesia, nella letteratura, vendicandosi del mondo. Cristina De Stefano, utilizzando una prosa lieve ma concisa, ha raccontato le loro storie in un unico libro che sintetizza le variegate sfaccettature femminili riottose al consono politicamente corretto.

scandaloseDonne eccentriche, dall’esibizionismo mentale non solo sterilmente corporeo, anime delicate e fragili, infelici, il rapporto irrisolto con i genitori come denominatore comune: madri assenti o pessime, padri ingombranti, incestuosi. Femmine nel vero senso del termine, conturbanti, come la scrittrice e poetessa Mina Loy, fumava la pipa vestita sempre rigorosamente in rosso, realizzando paralumi artistici grazie all’aiuto di Peggy Guggenheim; come Lydia Cabrera, nativa di Cuba, scriveva le arcane storie tramandate dalle tate africane, venne boicottata dal regime castrista.

La nera Nina Simone, utilizzava la musica per sfuggire alla segregazione, desiderava divenire pianista, è rimasta nella storia come la celebre jazz singer: “Mi paragonano a Billie Holiday e non a Maria Callas” sentenziava amareggiata. Una carriera per lei inconcreta che la rendeva rabbiosa con il pubblico.

La pittrice Niki de Saint Phalle scelse l’arte per liberarsi dei demoni interiori che la attanagliavano, da piccola il padre la molestava: “Ho sparato su mio papà, su tutti gli uomini, sui piccoli, sui grandi, sugli importanti, sui grossi, su mio fratello, la società, la chiesa, il convento, la scuola, la mia famiglia, tutti gli uomini, ancora su mio papà, su me stessa”.

Figure che, nonostante le avversità, non hanno accettato la rassegnazione, non piegandosi mai: la modella Toto Koopman, nativa di Giava, per alcuni anni la donna più bella del mondo, divenne spia per gli inglesi a Berlino, sedusse Herbert von Karajan, Galeazzo Ciano e il figlio di Churchill; Clarice Lispecter, prima scrittrice femminista del Brasile, è stata, tra le altre cose, l’autrice di “Libri come urla che gridano tutto quello che tacciamo, e di cui nel nostro silenzio diventiamo complici”; i suoi testi sono un pugno nello stomaco, “La passione secondo G.H” è la storia di una donna che guarda una blatta morire e comprende il senso della vita: “Creerò ciò che mi è accaduto. Solamente perché vivere non è narrabile. Vivere non è vivibile”.

Donne dall’identità ambigua, cariche di sfumature, dissidenti dalla semplice classificazione, come la francese Claude Cahun, fotografa esponente del surrealismo, impegnata politicamente, trasformista per vocazione, proponeva svariati tipi di identità consegnandosi all’asessualizzazione: “Maschile? Femminile? Dipende dai casi. Neutro è il solo genere che mi conviene sempre”.

Donne spesso viziose come l’attrice Tallulah Bankhead, la cui vita sregolata la portava a fare le ore piccole svuotando bottiglie di gin: era una delle più grandi interpreti teatrali del Novecento. Negli anni ’30 aveva intrapreso una relazione con la cantante jazz Billie Holiday, visto il profondo esibizionismo di quest’ultima, tenevano la porta del camerino sempre aperta quando facevano sesso.

L’eccentricità non è sempre stata positiva per le loro carriere: la poetessa tedesca Else Lasker-Schuler fu bollata da Kraus “un incrocio tra un arcangelo e una pescivendola”; la modella Nahui Olin viveva con un pittore rivoluzionario, Gerardo Murillo, scandalizzava gli ospiti girando nuda per la loro casa a Città del Messico.

Pearl S. Buck, figlia di due missionari presbiteriani in Cina, vinse il premio Nobel con il romanzo “La buona terra”: i suoi libri furono censurati dal regime comunista cinese, in America venne sorvegliata dall’Fbi per l’attivismo in favore dei neri. Jean Rhys, autrice de “Il grande mare dei Sargassi”, divenne famosa a 76 anni, era terrorizzata dai giornalisti, dagli studenti, dagli intellettuali, la scrittura era solamente un modo per lenire le sue ferite.

Marguerite Duras, ne “L’Amante”, prese spunto dalla sua infanzia spezzata, la prostituzione, la relazione di due anni con un vecchio cinese incontrato su un battello spinta da una madre padrona e dal fratello violento. La scrittura sublimò la sua essenza, innalzandola, attenuando l’orrore del passato che l’aveva scalfita.

Continua a leggere su Fidelity News