Lo spettacolo "Fa’afafine" avviluppato da aspre polemiche.

"Fa’afafine. Mi chiamo Alex e sono un dinosauro" è uno spettacolo teatrale rivolto ai bambini/ragazzi per un'educazione alle differenze. Il testo, incentrato sulla crescita sia dei ragazzi e degli adulti , è motivo di dure polemiche.

Lo spettacolo "Fa’afafine" avviluppato da aspre polemiche.

Lo spettacolo che sta facendo altercare, alacremente, i genitori, la scuola e i promotori è “Fa’afafine. Mi chiamo Alex e sono un dinosauro”.

Vincitore del “Premio Scenario infanzia 2014“, dell’”Infogiovani al Festival di Lugano”, dell’”Eolo Award” è attualmente in programmazione per le scolaresche. ‘Fa’afafine’ è una parola della lingua di Samoa, atta ad identificare coloro che sin dalla tenera età rifiutano un’identità di genere. Nella società samoana sono riconosciuti e rispettati come un “terzo genere”: fa’afafine sono maschi alla nascita e incarnano, esplicitamente, entrambi i caratteri di genere maschile e femminile.

Alex non è residente a Samoa è un “gender creative child”, vorrebbe essere un “fa’afafine” o semplicemente un bambino-bambina, come ama definirsi. La sua stanza è un mondo privo di confini e barriere, un guscio fantastico atto a proteggerlo. Il suo letto può essere una zattera, un aereo, un castello, una navicella spaziale. Il mondo reale, che irrompe solo dal buco della serratura, è un ambiente indistinto e intimidatorio: una società conformista e superficiale incentrata su un manicheismo cieco in cui esistono solo nette distinzioni tra maschio e femmina, giusto e sbagliato, normale e anormale.

Il bambino vive nell’incantesimo della propria consolante immaginazione: i giorni pari è maschio, i dispari è femmina. Un giorno si differenzia dalla routine degli altri, si innamora per la prima volta. Chiede consiglio ai suoi giocattoli e anela di parlare con Elliot, il bambino al quale vorrebbe dichiararsi e per il quale sente che essere maschio o femmina sarebbe riduttivo: vorrebbe essere entrambi, come l’unicorno, l’ornitorinco, i dinosauri. Si sente confuso, indeciso, cosa indosserà per dichiararsi? L’abito da principessa o il completo da calcio? Gli occhialini da aviatore o una collana di fiori?

La stanza lo protegge dai suoi genitori Susan e Rob, non desidera farli entrare nel suo regno, per paura di non esser compreso, come è accaduto del resto. Mamma e papà sono impacciati, premurosi, incancreniti nel ruolo da adulti, troppo preoccupati per comprendere fino in fondo l’anima di quel bambino dalla marcata sensibilità, lo percepiscono come un “problema”. Alex però non se ne cura: la sua cameretta si trasforma in ciò che desidera, un acquario, una lettera d’amore, una navicella spaziale che lo porta dritto all’isola di Samoa con i fa’afafine, affini al suo essere, al non volersi definire. Alex, che aspira al mondo perfetto della propria inventiva, deve ancora comprendere che, nel passaggio all’età adulta, occorre sacrificare la propria paura, per non rischiare di rimanere spettatori del mondo dal buco della serratura della propria stanza interiore.

Lo spettacolo racconta un giorno significativo nelle vite di Alex, Susan e Rob, un giorno che le muterà definitivamente. Alex il bambino-bambina insegnerà ai propri genitori a non aver paura. La porta della stanza di Alex si aprirà, il loro universo muterà forma, la visione della realtà sarà intensificata da nuovi orizzonti.

Giulio Scarpinato, il giovane autore siciliano, che ha scritto lo spettacolo si è ispirato al libro “Il mio bellissimo arcobaleno” dell’americana Lori Douron. Il tema arduo che ha deciso di portare in scena, con coraggio e accuratezza, è interpretato da attori dotati di ironia e leggerezza. Lo spettacolo intende rappresentare la delicatezza e la fragilità del rapporto di un adolescente con il proprio corpo, con i desideri che vi albergano, con la necessità di accettarli per conviverci. Affresca la complessità dell’essere umano, da sempre standardizzato sentimentalmente, sessualmente, illustrando la possibilità e il dovere di essere sempre noi stessi, di far comprendere chi siamo realmente, oltre i dogmi limitanti imposti.

La polemica è partita da “Generazione Famiglia”, gli organizzatori del Family Day, che hanno lanciato una petizione per impedire che i ragazzi assistano allo spettacolo. In ambito politico la commissione Cultura della Camera sta esaminando una serie di proposte di legge (sono 12) incentrate sull’educazione alla parità di genere nelle scuole e al rispetto tra i sessi, inserendo, però, nel filone, la richiesta di “rispetto” dei generi tradizionali nell’insegnamento scolastico. Sul fronte anti-gender militano le formazioni centriste, la Lega e Fdi. Rocco Buttiglione è il primo firmatario di una proposta, basata sul tema gender, nella quale si chiede che nelle scuole i minori non vengano educati “a una sessualità indistinta“.

Filippo Savarese, portavoce di “Generazione famiglia”, ritiene assurda e diseducativa l’immagine di un ragazzo capace di sentirsi un giorno maschio e un giorno femmina. Lo spettacolo, dal loro punto di vista, conduce i giovani fruitori ad un’inevitabile confusione, al discredito dei propri familiari e della loro capacità di comprendere, indirizzare, i figli verso la scoperta di loro stessi. Continua osservando che il testo di Scarpinato anichilisca il desiderio genitoriale di sostenere i figli nella definizione di se stessi, invitandoli, quasi, ad abbandonarli alla confusione isterica di ogni stravagante espressione di ego, sintomo, spesso, di un malessere. Conclude dicendo che “La felicità non è essere accettati quando si è qualunque capriccio si vuole, ma essere se stessi, aderenti alla propria realtà di bene.”

“L’Avvenire” denuncia sulle proprie pagine che, dati scientifici alla mano, provano come i disturbi psicologici dell’identità di genere e quelli fisici della differenziazione sessuale conducano gravi sofferenze nei bambini e negli adolescenti quindi usarli per propagandare l’ideologia “gender” tra i ragazzini è scorretto, può avere pericolose conseguenze.

Lo spettacolo ”Fa’afafine- mi chiamo Alex e sono un dinosauro” è nato all’interno di Teatro Arcobaleno, il progetto speciale di Gender Bender per un’educazione alle differenze, dedicato a bambini e adolescenti. Con “terzo genere” ci si riferisce ad un genere separato, autonomo e riconosciuto socialmente, in piena rottura con il modello binario e con il dimorfismo biologico.

Identificarlo come uno spettacolo sull’identità di genere è riduttivo: “Fa’afafine” racconta una delicatissima fase di passaggio determinante una crescita, non solo per Alex nella sua crisalide, rapito dai turbamenti adolescenziali, perduto nella linea d’ombra, nella ricerca di comprendere l’altro quindi sé stesso, il proprio corpo, gli impulsi che orbitano senza metà precisa (aspetti con cui tutti si ritrovano a confrontarsi ) ma soprattutto per i suoi genitori. Vi è una domanda sussurata idealmente nello spettacolo: se sia davvero necessario essere “normali” per essere una famiglia felice.

“Fa’afafine” costringe noi spettatori a porci domande scomode, ricusate dalla società convenzionale ove non esistono le sfumature ma solo il bianco, rettore del bene e il nero, rettore del non consentito. La risposta che Scarpinato urla nella sceneggiatura è che non occorre essere “normali” per esser felici, che la normalità è un concetto nebuloso soggettivo e non oggettivo.

Per i genitori quindi è molto facile sentirsi comodi nella “normalità”. Meno facile è amare, accettare in modo incondizionato chi ha il coraggio di essere se stesso senza dare spiegazioni, senza avere paura. La piccola-grande rivoluzione che Fa’afafine porta sul palco, con estrema piacevolezza, delicatezza e intelligenza.

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