Google inventa le lenti a contatto per la scansione dell’iride

Google ha brevettato delle lenti a contatto in grado di scansionare l'iride per utilizzarle come sistema di riconoscimento al posto delle "obsolete" impronte digitali. A New York, intanto, si studia l'impronta cerebrale

Google inventa le lenti a contatto per la scansione dell’iride

Chi pensa che, con i lettori delle impronte digitali, il settore della privacy e della sicurezza digitale abbia raggiunto la sua massima espressione, si sbaglia di grosso. Google ha infatti messo a punto delle lenti a contatto che scansionano l’iride.

Il brevetto depositato del colosso di Mountain View fa riferimento, infatti, a delle vere e proprie lenti a contatto che una volta applicate saranno in grado di effettuare una scansione dell’iride ed essere dunque impiegate come “sistemi e metodi associati con l’identificazione e l’autenticazione”, ad esempio per sbloccare il display del proprio smartphone, disattivare l’allarme di casa o addirittura aprire la cassaforte.

Password e impronte digitali hanno dunque un futuro molto incerto alla luce di questa nuova tecnologia che metterĂ  in prima linea gli occhi come mezzo principale ed inequivocabile di riconoscimento.

Google non è nuova a progetti che riguardo le lenti a contatto. Infatti, con la collaborazione della casa farmaceutica Novartis, sta realizzando un sistema di rilevazione dei livelli di glucosio nel sangue per consentire ai diabetici un monitoraggio costante e senza l’uso di ulteriori apparecchi, pungidito e riducendo anche la quantità di rifiuti sanitari da smaltire.

Purtroppo, come ogni cosa nel mondo Hi-Tech, anche il riconoscimento ottico tramite scansione dell’iride non sarà un traguardo ma l’ennesimo punto di partenza: l’università statunitense Binghamton, a New York, ha già avviato i primi studi per la realizzazione di un sistema di riconoscimento che sfrutti addirittura l’impronta del cervello.

Si tratta di un sistema in grado di rilevare il mondo in cui la propria mente risponde a determinati stimoli. Secondo questi studi, effettuatuato al momento su 45 volontari, la risposta è decisamente differente da un individuo all’altro, al punto tale da impotizzarne anche in questo caso l’unicità assoluta, requisito fondamentale per garantire la massima sicurezza. Nei primi test, il computer è stato in grado di identificare i soggetti con esito positivo nel 94% dei casi.

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