Formula 1: ecco perchè la Ferrari è obbligata a crederci

Nella notte di Singapore la Ferrari ha visto i fantasmi con il clamoroso incidente alla partenza. Ma la macchina ha quasi sempre dimostrato la sua competitività e Vettel è tornato concentrato come in Red Bull. Mancano sei gare, la rincorsa è ancora possibile.

Formula 1: ecco perchè la Ferrari è obbligata a crederci

The past is gone, the future is unknown“. Un mantra per tantissimi, un must per Sebastian Vettel. Inutile piangere sul latte versato: il patatrac di Singapore è stato frutto di mosse azzardate ma anche di tanta, tantissima sfortuna. Più costruttivo, invece, guardare con fiducia al futuro che è ancora tutto da scrivere: sei i Gran Premi al termine, sui quali il Cavallino deve concentrarsi come non mai per tentare un’impresa che secondo le parole del team manager della Rossa, Maurizio Arrivabene, “è difficile, ma non è impossibile. Non è finita, semplicemente è più difficile, ma non è finita“.

Parole che promettono battaglia e determinazione, com’è nel DNA della Ferrari. Sarebbe inglorioso lasciare la presa al primo vero passo falso della stagione. E Sebastian non è pilota da arrendersi facilmente: basti vedere come ha conquistato il suo primo titolo mondiale, nel 2010.

E le ragioni per crederci ancora sono molteplici. Proviamo a vedere le principali.

La competitività della SF70H

Sicuramente la Mercedes sta dimostrando dall’inizio dell’anno di essere ancora la macchina migliore. Ma a esclusione di Monza non ha mai evidenziato una netta superiorità nei confronti della Rossa. Parlando delle ultime corse, in Austria e a Spa Vettel è arrivato secondo (rispettivamente alle spalle di Bottas e Hamilton) dopo aver percorso la gara negli scarichi della Mercedes senza trovare lo spunto decisivo per il sorpasso. A Silverstone il dominio è stato più del britannico che delle Frecce d’Argento che, senza la doppia foratura di Raikkonen e Vettel, non avrebbero conquistato una doppietta. In Ungheria Vettel ha vinto con evidenti problemi alla macchina, scortato da un Kimi in versione ‘bodyguard‘. A Singapore il tedesco ha ottenuto una pole stratosferica e senza l’incidente al via avrebbe probabilmente controllato la gara. L’unico passo falso della Ferrari – inteso sul piano tecnico – è stato il Gran Premio di casa che ha visto le Mercedes dominare in lungo e in largo: ma Monza per conformità del tracciato fa storia a sé e nelle prossime tappe iridate non esiste un circuito con caratteristiche simili.

La concentrazione di Seb

Dopo un 2016 un po’ ‘pasticcione’ con qualche errore di troppo, Vettel è tornato a essere quello concentratissimo del periodo Red Bull. Ha vinto dove doveva vincere (all’esordio in Australia, a Montecarlo e in Ungheria coronate dalla sorpresa in Bahrain), si è difeso dove doveva difendersi. Ha conquistato 6 podi nelle prime 6 gare, facendo della costanza il suo punto di forza: ne ha ottenuti 10 (il pilota con il maggior numero di podi nel 2017). È competitivo in tutte le piste. Hamilton, invece, fatica in determinati circuiti guidando a fasi alterne: è giunto quarto in Russia, Austria e Ungheria mostrando poco feeling con la sua monoposto. Sebastian ha sbagliato pochissimo: in Azerbaigian l’unico vero errore, quel ‘fallo di reazione’ alle manovre repentine del rivale. Quello di ieri è stato catalogato come incidente di gara: certamente Sebastian ha stretto Max Verstappen in maniera evidente e il rischio non ha pagato, ma la sua manovra è quella classica che fa un pilota per difendersi.

Gli avversari

Assodato che Hamilton ha a sua completa disposizione Bottas, mentre Vettel ha al suo servizio Kimi saranno proprio i rispettivi compagni di squadra a giocare un ruolo importante in questo finale di stagione. E se Kimi riuscisse in più gare a porsi tra il compagno e Hamilton leverebbe punti pesanti in chiave iridata, considerando che tra il primo e il terzo ballano 10 punti: in questo modo il -28 non sarebbe tanto impossibile da recuperare. Senza tralasciare la Red Bull: il team austriaco sta poco alla volta colmando il gap con le prime della classe. Lo stesso Verstappen – per colpe sue ma non solo – sta raccogliendo pochissimi punti (68) ma con un po’ più di testa e di fortuna può fare da ago della bilancia in alcune piste. Daniel Ricciardo, invece, è solido e costante (7 podi) e soprattutto gestisce le gare con estrema lucidità.

La sorte

Vettel ha forato a Silverstone e in Canada, guadagnando lo stesso punti ma perdendo posizioni che non gli consentono adesso di essere più vicino all’inglese in classifica. Inoltre, ieri ha collezionato il primo ‘zero’. Hamilton per adesso è sempre andato a punti e mai oltre il settimo posto (Montecarlo) e domenica si è trovato tra le mani un regalo inaspettato. La ruota, insomma, potrebbe girare: la sua Mercedes peraltro ha già utilizzato la quarta power unit e fosse costretta a montarne un’altra scatterebbe una penalità sulla griglia di partenza. Inoltre, per quanto si cerchi di rimanere cauti la partenza è da sempre la fase più critica di un Gran Premo dal momento che il rischio di rimanere coinvolti in incidenti è sempre elevato.

Il cuore Ferrari

Il team di Maranello talvolta pecca nelle strategie di gara, ma nel suo DNA scorre grinta, determinazione, forza di volontà e di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Senza questi requisiti lo stesso Raikkonen non avrebbe mai potuto conquistare il suo primo e unico titolo mondiale. Nel 2007, il finnico era a -17 a due gare dalla fine e riuscì nell’impresa. Perché mai Vettel non dovrebbe crederci quando ha 28 punti di svantaggio a sei gare dalla fine e con 150 punti ancora da assegnare?

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