Nicola Di Matteo e la strage di Capaci: "Troppe fiction tv hanno alimentato il mito mafioso"

Nicola Di Matteo, figlio del pentito fedelissimo a Giovanni Brusca, ricorda quel 23 maggio di 25 anni e la scomparsa del fratello Giuseppe, rapito e sciolto nell'acido.

Nicola Di Matteo e la strage di Capaci: "Troppe fiction tv hanno alimentato il mito mafioso"

Nicola è il figlio di Santino Di Matteo, uno degli assassini di Giovanni Falcone, fedelissimo di Giovanni Brusca. Nicola ha parlato di quei giorni, passeggiando nella fattoria di famiglia, nel parco sopra Altofonte, alle porte di Palermo “Da bambino ci giocavo con quegli uomini, i mafiosi che volevano sfidare lo Stato con le stragi. Per me erano soltanto gli amici di papà che venivano a trovarci nella casa di campagna. Si davano tante arie, ma hanno perso. Bisogna dirlo chiaramente: mio padre e tutti gli altri mafiosi hanno perso ».

Continua raccontando di quando un giorno arrivò Giovanni Brusca, regalò a lui e a suo fratello Giuseppe un Nintendo: ce l’ha ancora in casa, da qualche parte. Brusca da latitante rimase a casa sua per due mesi, non sapeva che fosse un pericoloso mafioso, non sapeva neppure cosa facesse suo padre: Nicola non immaginava cosa stessero preparando Brusca e suo padre facendo avanti e indietro lungo l’autostrada, mettendo a punto un telecomando.

«Io ero soltanto un bambino di 10 anni che voleva giocare con il suo fratellino invece, i mafiosi hanno fatto del male anche a lui, l’ hanno rapito quando mio padre ha iniziato a collaborare con la giustizia e poi l’ hanno ammazzato. Questa è la mafia, violenza e ignoranza. Ma loro hanno perso. Anche se Falcone non c’ è più, anche se mio fratello non c’ è più». Il padre di Nicola, Santino detto Mezzanasca, fu il primo pentito che raccontò i particolari di quel 23 maggio di 25 anni fa, un anno e mezzo dopo la strage di Capaci Cosa nostra rapì suo figlio nel tentativo di bloccarlo, di farlo desistere dal parlare. Santino continuò per la sua strada e Giovanni Brusca, fece sciogliere nell’ acido il bambino. Nicola ripensa con dolore a quei giorni dicendo che ha un vago ricordo del pomeriggio del 23 maggio 1992, le immagini incessanti sul televisore, i giochi con il fratello, le biciclette, i cavalli, il pallone.

Un anno dopo, Santino Di Matteo viene arrestato e Nicola rimembra i viaggi con la mamma verso Pianosa e l’Asinara, il carcere duro, i vetri blindati che celavano il padre, l’incomprensione di un bimbo che non capisce fino a quando Giuseppe non torna più a casa. Nicola si rese conto cos’ era la mafia mentre il nonno si chiedeva chi fossero i rapitori: i nomi erano di uomini amici, che erano stati ospiti in casa tante volte, ridendo e scherzando anche con lui. “Una volta, parlavano di un signore che andava dicendo Chi vede il sole al mattino lo deve a me. E solo me deve ringraziare. Era il delirio di onnipotenza di Salvatore Riina, il capo di Cosa nostra. Ma questo l’ ho saputo tanti anni dopo». 

A 25 anni di distanza dall’uccisione di Falcone, il fratello di Giuseppe Di Matteo ritiene che non si parli a sufficienza di mafia non apprezzando le fiction che vengono prodotte “troppe fiction tv non abbiano fatto altro che accrescere il mito dei mafiosi. E tanti giovani, purtroppo, continuano ad essere vittime di questa fascinazione ». Nicola, con dolore, sentenzia che il mafioso è quasi assunto ad anti-eroe fascinoso, ammaliante, la storia del suo povero fratello non è stata ancora raccontata in modo coerente e veritiero.

Ad Altofonte, non esiste una strada o una lapide che ricordi quello sfortunato bambino. Monica Genovese, l’avvocato di famiglia, si chiede come sia possibile dimenticare un bambino rimasto prigioniero 779 giorni. Nicola parla dello zio Giuseppe ai suoi bambini, spiegandogli l’orrore della mafia, i suoi inganni. Nicola non intende dare lezioni a nessuno. «C’ è già troppa retorica nell’antimafia ». 

Continua a leggere su Fidelity News