È morto Pino Pelosi, l’assassino di Pier Paolo Pasolini

Ieri pomeriggio, a causa di un tumore, è morto Pino Pelosi, l'assassino che - nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975, ad Ostia - uccise il poeta e regista Pier Paolo Pasolini.

È morto Pino Pelosi, l’assassino di Pier Paolo Pasolini

Ieri pomeriggio, a Roma è morto l’autore dell’uccisione del poeta Pier Paolo Pasolini, nella notte tra il 1 e il 2 novembre 1975, Pino Pelosio, da molto tempo malato. L’uomo, da qualche giorno, era ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma, perché malato di tumore, e ieri è stato trasferito al reparto oncologico dell’ospedale dove poi, nel pomeriggio, è deceduto.

Pelosi viveva nel quartiere di Bastogi e, da 20 giorni, aveva sposato una donna, infatti era consapevole del fatto che da lì a poco sarebbe morto, quindi ha preferito trovare una brava donna che gli volesse bene, e che gli desse serenità: i due stavano insieme da quattro anni. Era nato a Roma il 22 giugno 1958, cresciuto poi nel quartiere di Setteville di Guidonia, e aveva frequentato la scuola fino alla seconda media.

Poi, crescendo in quei quartieri, Pelosi è diventato uno dei tipici esempi dei “ragazzi di vitaritratti da Pasolini, ovvero dei ragazzi che vivevano per strada e si adeguavano a commettere piccoli reati o a prostituirsi.

Poi la sua vita cambiò nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975, quando i telegiornali nazionali riportarono la notizia della morte del poeta e regista, Pier Paolo Pasolini, brutalmente ucciso in un campetto sterrato di Ostia Scalo. Quando fu ritrovato il corpo, Giuseppe Pelosi – allora diciasettenne – era stato fermato dai carabinieri intorno all’una di notte, sulla strada del lungo mare di Duilio di Ostia, alla guida dell’auto del poeta.

Al momento, i carabinieri decisero di arrestare il ragazzo per aver rubato la macchina al poeta ma, appena appresero la notizia della morte del poeta e il ritrovamento di un anello di Pelosi, capirono che il ragazzo non aveva solo commesso il furto, ma anche l’omicidio del poeta.

Dopo il suo arresto, Pelosi fu interrogato e condotto al carcere minorile, dove cambiò diverse volte la sua versione, dicendo che il poeta lo caricò sulla sua auto nei pressi della Stazione di Termini e poi si recarono insieme allo Scalo di Ostia, per un incontro a sfondo sessuale e, in quell’occasione, qualcosa andò storto perché il regista lo colpì con un bastone, e lui – in sua difesa – lo colpì con una tavola di legno, e poi scappò con l’auto del poeta.

Quindi, il poeta morì a causa di un incidente, schiacciato dalla sua stessa macchina guidata da Giuseppe Pelosi, epilogo di una serata finita male. Al momento dell’accaduto, però, non c’era nessuno a parte Pelosi e Pasolini.

Il 10 dicembre 1975, fu rinviato a giudizio per omicidio volontario, furto dell’auto, e atti osceni in luogo pubblico, quindi condannato a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni di reclusione, oltre a dover pagare una multa di 30.000 lire. La Corte lo riteneva soprattutto colpevole per l’omicidio volontario, in quanto era emerso che al momento dell’omicidio del poeta, Pelosi non era da solo, quindi la storia della lite tra omossessuali non reggeva tanto. All’epoca, la figura di Pasolini era molto scomoda per alcuni.

Dopo un anno, la sentenza cambiò di nuovo, Pelosi non era più accusato di furto e atti osceni in luogo pubblico, ma solo colpevole di omicidio. Questo omicidio per molti era solo un tragico epilogo di una questione irrisolta tra omossessuali. Pelosi ottenne la semilibertà il 26 novembre 1982, poi la libertà condizionata l’8 luglio 1983, poi l’11 gennaio 1984 fu arrestato e poi prosciolto per l’insufficienza nel provare una rapina a un furgone postale. Nel 2000, fu arrestato per una rapina, nel 2005 finì in carcere per spaccio e, infine, dopo l’affidamento ai servizi sociali, tornò in libertà il 23 settembre 2009.

Una volta uscito definitivamente dal carcere, Pelosi decise di dire forse la verità su quella fatidica notte, infatti dichiarò che durante quella notte non fu lui a colpire a morte a Pasolini, ma tre persone con l’accento siciliano.

Questo elemento fu molto importante perché, all’epoca delle ricerche sulla morte di Pasolini, era saltata agli occhi degli investigatori l’ipotesi che i fratelli Borsellino, tutti e due siciliani, erano coinvolti nell’omicidio. Infatti, un agente sotto copertura aveva sentito i due fratelli raccontare del pestaggio a morte ai danni di Pasolini, però questa tesi non fece riaprire il caso perché i due fecero credere al magistrato di essersi inventati tutto per farsi vedere duri. Infine, si è scoperto che Pelosi aveva raccontato questa storia solo per apparire in televisione.

Dopo questa ennesima dichiarazione falsa sulla morte di Pasolini, Pelosi decise di scrivere una sua autobiografia dove si prese la colpa per l’omicidio di Pasolini, ma il tutto era nato da una minaccia di morte che era prevenuta a lui e alla sua famiglia, quella notte, da uno dei due aggressori. Però, in tutta questa faccenda, mancava ancora una tessera al puzzle, infatti l’uomo scagionò Johnny lo Zingaro, colui che gli aveva regalato l’anello trovato sulla scena del crimine ma, all’appello, manca comunque uno degli aggressori di quella notte, visto che lui dichiarò che erano in quattro.

L’avvocato di Marazzita, legale di Pasolini, è convinto della colpevolezza di Giuseppe Pelosi nell’omicidio del poeta, mentre l‘avvocato di Pelosi è convinto della sua innocenza, visto che l’ha aiutato perfino a scrivere la sua biografia, all’interno della quale ci sono molti fatti raccontati dallo stesso che non possono essere rivelati, se non con il consenso della famiglia dell’uomo.

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