Caso Uva: sei poliziotti e un carabiniere a giudizio

Finalmente i giudici hanno stabilito che si deve fare un processo ed esplode la gioia dei familiari di Giuseppe Uva. La sorella dell'artigiano, in lacrime, aspettava con ansia la notizia

Caso Uva: sei poliziotti e un carabiniere a giudizio

Sono stati rinviati a giudizio sei poliziotti e un carabiniere, accusati di omicidio preterintenzionale nel processo sul caso Uva. Giuseppe Uva, artigiano di 43 anni, morì in ospedale il 14 giugno 2008 in seguito alla notte trascorsa nella caserma di Varese. La richiesta del procuratore Felice Isnardi di non procedere è stata respinta dal gup Stefano Sala, che ha fissato per il 20 ottobre la data della prima udienza del processo, che si svolgerà in corte d’Assise.

Il giudice ha accolto le richieste dei familiari di Giuseppe Uva, costituitesi parte civile, i quali ritengono che l’uomo abbia subito violenze in casermada parte degli agenti e del carabiniere, che sostengono di averlo fermato ubriaco per strada a Varese. Il procuratore di Varese e il legale degli agenti avevano chiesto il proscioglimento dalle accuse. Il commento dei familiari: ‘‘Prendiamo atto di questa decisione che non ci aspettavamo, ora affronteremo il processo a testa alta”. E la sorella dichiara: “‘Dopo quattro anni ce l’abbiamo fatta: i giudici hanno stabilito che ci vuole un processo. Dedico questo processo al pm di Varese Agostino Abate che non ha mai voluto cercare la verità, mio fratello non ha mai fatto atti di autolesionismo ma è stato picchiato in caserma”.

Una storia di cronaca che denuncia l’abuso di potere che in più di qualche occasione hanno sollevato i cittadini, a volte non creduti perché sembra impossibile il verificarsi di certi atti. Le indagini saranno indirizzate a scoprire la verità sul caso Uva, verità che i familiari sostengono ormai da molto tempo. La sorella è stata promotrice della causa in difesa di Giuseppe e ha sempre affermato che il fratello era una persona calma e tranquilla e che mai avrebbe agito in modo violento contro i militari. La ragazza, molto legata al fratello, è sempre stata convinta delle responsabilità a danno degli agenti e del carabiniere, che avrebbero picchiato selvaggiamente Giuseppe lasciandolo in fin di vita. Adesso è l’occasione giusta per far emergere la verità, scomoda per certi versi, ma indispensabile per riconoscere le colpe a chi di dovere. Anche se fanno parte dello Stato.

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