Ansie e fobie? Combattile con la realtà virtuale

La realtà virtuale per curare ansia, stress, fobie o rallentare processi di invecchiamento cognitivo in Italia è possibile. Una stanza in cui ricreare virtulamente le situazioni che creano stress per affrontare sotto controllo di un terapeuta

Ansie e fobie? Combattile con la realtà virtuale

La realtà virtuale, ai più nota per i momenti di svago o per le discussioni con i figli, sempre più spesso viene invece utilizzata come strumento terapeutico per la gestione di situazioni di stress o fobie, per rallentare il declino cognitivo nelle persone anziane o per la gestione di disturbi alimentari quali bulimia o anoressia.

Uno studio della psicologa della Emory University Jessica Maples-Keller ha concluso che per combattere ansie e fobie, coma ad esempio la paura della folla, la fobia dell’acqua o il panico all’idea di prendere un aereoplano, è molto efficace la virtual reality: viene infatti utilizzata la tecnica dell’esposizione.

Mediante un visore sulla realtà virtuale viene replicato uno scenario simile a quello che provoca le crisi di ansia o paura e viene trasmesso gradulamente al paziente, ovviamente sotto lo stretto controllo di un terapeuta, finchè il paziente non riesce ad aver reazioni controllate alle situazioni che invece gli provocavano forte stress.

L’Italia è all’avanguardi per queste tecniche, infatti l’Istituto Auxologico Italiano è l’unico al mondo ad avere due stanze i cui muri e pavimenti sono in realtà schermi tappezzati di sensori a raggi infrarossi che tracciano i movimenti del paziente (queste stanze vengono chiamate “cave”). Sui muri di queste stanze vengono proiettati gli scenari desiderati e il paziente si limita ad indossare degli occhialini 3D.

In queste stanze sono già stati condotti alcuni studi clinici patrocinati dal Ministero della Salute, alcuni per la gestione dello stress, altri sul trattamento di Alzheimer, demenza e Parkinson, altri per il trattamento dell’anoressia, della bulimia e dell’obesità, tutti con risultati incoraggianti.

Ancora però il numero dei soggetti trattati è troppo basso per decretare il successo di questa terapia, e anche i terapeuti specializzati sono un numero troppo basso, ma l’Italia potrebbe fare da apripista all’Europa, visto che negli Stati Uniti d’America questo metodo è già utilizzato.

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