Dieselgate: Bosch non poteva non sapere

Gli avvocati statunitensi, che portano avanti la class action miliardaria contro Volkswagen, hanno depositato delle accuse dalle quali si evincerebbe la complicità della Bosch nello scandalo "Dieselgate"

Dieselgate: Bosch non poteva non sapere

E’ trascorso quasi un anno dall’inizio del famoso “scandalo emissioni” immediatamente ribattezzato dalla stampa internazionale con il termine “Dieselgate”. Sotto la lente della giustizia è finita la Volkswagen e le società del gruppo di Wolfsburg, accusate dell’utilizzo di un defeat device, un software capace di modificare le emissioni dei motori diesel durante i test di laboratorio per farle rientrare nei limiti previsti dalle normative anti-inquinamento.  

Dopo essere stata costretta ad ammettere il comportamento fraudolento, Volkswagen si è vista bersagliata da accuse legali in ogni angolo del mondo. Ad attivarsi con maggiore solerzia e dedizione sono stati gli avvocati degli Stati Uniti, che a mezzo di class action miliardarie si sono premurati di difendere le ragioni degli automobilisti indignati per la truffa perpetrata ai loro danni. 

Ma se fino ad oggi nel mirino delle cause era stata la Volkswagen, ora le attenzioni degli avvocati statunitensi si concentrano anche sulla Bosch, in quanto fornitore delle centraline atte al controllo delle emissioni dei motori.

Nelle 742 pagine di accuse depositate dagli avvocati presso la Corte Federale di San Francisco, si fa leva sulla stretta collaborazione Volkswagen-Bosch al fine dello sviluppo del software delle centraline. Questi dispositivi particolarmente sofisticati sono dotati di memorie non modificabili dal costruttore senza l’intervento di Bosch, che tra le altre cose non consente modifiche alla programmazione senza una preventiva approvazione.  

Ad aggravare la posizione della Bosch c’è anche un ulteriore elemento: avendo un ruolo fondamentale per il funzionamento delle vetture, le centraline vengono sigillate per renderle immuni dal rischio gelo, pioggia o perdite d’olio. Con queste premesse i legali hanno concluso che “è inconcepibile che Bosch non fosse a conoscenza del fatto che ci fosse un sistema illegale nel software di quelle centraline di cui aveva la responsabilità della progettazione, dello sviluppo di prodotto, dei test e della manutenzione”. In altre parole la complicità di Bosch nell’affaire Dieselgate sembra evidente in quanto non poteva non sapere

Bosch al momento ha evitato di commentare le accuse, limitandosi a ribadire la sua più ampia collaborazione con le autorità che seguono le indagini. Ad ogni modo qualora ne venisse appurata la complicità, per la multinazionale tedesca leader mondiale per la fornitura di componentistica per auto sarebbe davvero un duro colpo. Oltre a ciò si andrebbe a minare ulteriormente l’immagine internazionale della Germania, attualmente prima potenza economica del vecchio continente.

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