"Treasures from the Wreck of the Unbelievable" la mostra impossibile

La mostra aperta fino al 9 maggio presso Punta della Dogana - Francois Pinault Foundation a Venezia illustra un racconto, una fake news su tesori sommersi, collezionismo, sovrapponendo epoche storiche: un racconto fantastico metafora dei nostri tempi.

"Treasures from the Wreck of the Unbelievable" la mostra impossibile

Damien Hirst è un provocatore capace di condurre nel regno dell’impossibile ove tutto è attuabile e niente è concreto: la storia sublima nella finzione, il mito indugia nella verità.

L’arte è decaduta in stanche ripetizioni da salotto borghese, masturbandosi con i propri cliché: Hirst esita nell’essenza dell’arte, verità e finzione connesse, il sogno che deflagra nell’incubo, orrido e piacevole in contrasto, il teatro della crudeltà di Artaud: “Il teatro è prima di tutto rituale e magico non è una rappresentazione. È la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile”.

Un pugno secco allo stomaco, questo è Damien Hirst: espone una produzione eccessiva, esagerata, sovrabbondante, barocca, che darà fastidio a chi venera il minimalismo come massima espressione à la page. Hirst lascia che sia il suo lavoro a parlare, non presentandosi alle conferenze stampa, evitando la mondanità, nascondendosi per nevrosi e incapacità di relazione. Damien Hirst è il più grande artista della nostra epoca, al suo confronto Maurizio Cattelan sembra un vecchio stanco, sterile, incancrenito nella mondanità.

Hirst, come un personaggio di Ken Loach, è un ex punk arricchito che sfotte gli stereotipi. La mostra è aperta fino al 9 maggio presso Punta della Dogana – Francois Pinault Foundation a Venezia e illustra un racconto, una fake news su tesori sommersi, collezionismo, sovrapponendo epoche storiche, facendo convergere ideologie inconciliabili, nella rivisitazione del mito palesemente falsa e ambigua.

In questi tesori, che Hirst ha immaginato di riportare alla luce, troviamo in mix lisergico tra Bosch, Walt Disney, Medioevo Fantastico, il parco dei mostri a Bomarzo, il tesoro dei pirati, i Pirati dei Caraibi, Titanic, freaks, pornografia, Indiana Jones, i transformer. Damien Hirst racconta un’occidente ancorato morbosamente al proprio passato, la nostra storia è la nostra forza, erosa da incrostazioni di coralli, arsa dalla salsedine, riemersa dagli abissi, è leggenda, destino.

La mostra è il suo ritorno: “Treasures from the Wreck of the Unbelievable”. Dieci anni di lavoro affidati ai migliori artigiani, scienziati, manifatturieri del Regno Unito. Il clamoroso ritorno parte da una storia: la scoperta, nel 2008, di un relitto di una nave naufragata al largo della costa est dell’Africa, appartenuta a Cif Amotan II, un liberto di Antiochia vissuto tra I e II secolo d.C. Affrancatosi da schiavo raccolse un tesoro, opere d’arte, gioielli, oggetti antichi, bottino di guerra: i preziosi vennero caricati sulla sua nave per essere trasportati in un tempio.

La nave si inabissò non giungendo a destinazione: il recente ritrovamento ha riportato alla luce i reperti perduti da secoli in mare, danneggiati dal tempo, alcuni hanno richiesto copie museali per ricreare l’identità originaria. Una storia totalmente inventata da Hirst, un fake. L’opera di Hirst indugia nelle segrete aspirazioni umane, oltre le colonne d’Ercole della percezione, sognando un tesoro che tutti vorremmo recuperare, un sogno quasi infantile concretizzato nella magia dell’arte.

L’artista inglese ci crede progettando e partorendo statue gigantesche, il “Demon with Bowl”, un mostro senza testa di oltre 18 metri che occupa l’atrio di Palazzo Grassi: alcuni pensano che rappresenti Pazuzu, la ciotola che cinge è per il sangue umano – ma il curatore non concorda. Il “Warrior and the Bear”è invaso festosamente dalla proliferazione dei coralli: una coreografia di fanciulle ateniesi simula le gestualità di un’orsa per placare Artemide, la dea della caccia.

Troviamo piccole monete, monili, gioielli, il calco delle mani, giunte in preghiera, sono della sua vecchia madre, un intima concessione di Hirst. Molte delle opere sono presenti in tre versioni: la prima quella incrostata dal tempo, la seconda nella versione restaurata, la terza come se fosse una copia fatta nell’antichità, come i Romani facevano con i capolavori greci.

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