"Gli Eroi" di Georg Baselitz in mostra a Roma

Settanta opere per comprendere uno dei massimi artisti tedeschi viventi, neoespressionista, romantico, angosciato, avulso dai ogni convenzione ha disintegrato i confini preposti nelle sue provocazioni non sempre comprese.

"Gli Eroi" di Georg Baselitz in mostra a Roma

Gli eroi afflitti, luridi, friabili di Georg Baselitz incedono con passo dolente nel Palazzo delle Esposizioni a Roma nella mostra “Gli Eroi”, curata da Max Hollein e Daniela Lancioni, ideata ed organizzata da Städel Museum, in collaborazione con Azienda Speciale Palaexpo.

Una grande mostra monografica, che ai dipinti manifesto accosta disegni e xilografie, insieme a lavori recenti e alle opere “Frattura” del 1966 ove sperimenta una riorganizzazione dell’immagine, dipinte poco prima dei quadri capovolti. Un itinerario nella carriera artistica di Baselitz che, dalle origini nella Repubblica Democratica Tedesca, arriva ai nostri giorni, nella continuità fra memoria e presente nel ciclo “Remix” dei primi anni 2000. Settanta opere per conoscere intimamente un artista fuori da ogni convenzione, che dal sequestro della “Grande notte nel secchio” (1960) non ha smesso di provocare. “La provocazione è la vera meraviglia dell’arte, come in Rauschenberg e Fontana. Per me, ogni volta, è un’ossessione. Sento un diavolo dentro di me che si agita, non riesco a fermarlo. Provocare per me è un esorcismo”.

Georg Baselitz è artista privo di collocazione, solitario, riflessivo la cui pittura concreta è più similare alla parola che ad un’amalgama di colori: sorge immediato paragonare la poetica pittorica di Baselitz al pensiero di scrittori, drammaturghi perché le sue opere espongono un autentico teatro esistenzialista, scaturito da strati di colore che lacerano la tela. Uno dei massimi artisti tedeschi viventi, protagonista di un neoespressionismo romantico, decadente, estromesso dall’astrattismo e dalla Pop Art, che innalza l’essere umano, la deriva esistenziale, al centro della sua pittura.

Lo stile di Baselitz è influenzato dall’espressionismo astratto americano e in particolare dalle opere di Jackson Pollock. La serie degli “Eroi”, creati durante un lungo soggiorno a Firenze nel 1965, concretizza la tematica di Baselitz, la disperazione del dopo guerra tedesco è incanalata in un espressionismo che vira al manierismo. Eroi di un paese annientato dal Terzo Reich, dal comunismo della Ddr e secondo l’artista cresciuto nel borgo di Deutschbaselitz da cui ha preso il nome – quello vero è Hans-Georg Kern – anche dalla rinascita. “Sono stato messo al mondo in un ordine distrutto – ha sentenziato l’artista – in un popolo distrutto, in una società distrutta. Non volevo introdurre un nuovo ordine. Avevo visto fin troppi cosiddetti ordini”.

Sono figure dai corpi possenti, giovani vigorosi, caparbi, spezzati, fatti da contorni tremolanti, hanno teste piccole, genitali sovradimensionati in una virilità esposta, schernita, superflua, vestono uniformi a brandelli, grondano sangue, hanno le mani bloccate. Gli eroi non sono ritratti ma autoritratti, copie di un se stesso disintegrato come la Germania nel dopoguerra: arte, musica, letteratura, cancellate dalla follia dell’ideologia nazista.

Il ciclo degli Eroi espone un individuo che emerge dalla tragedia prodotta dalla società totalitaria, disgustato per il sangue, per l’aberrazione, per la violenza, e da se stesso che è rimasto silente e in un certo senso complice. Un eroe foscoliano prigioniero di dinamiche immense, che non accetta di divenire schiavo. Una mescolanza di potenza, ambiguità, speranza, disperazione, rabbia, ironia, capace di disorientare l’intellettuale d’accademia.

Secondo Baselitz le ideologie in Germania non sono sopite, una disarmante povertà culturale la permea, vige la paura e la superiorità di un uomo su l’altro. Le convenzioni ripudiate dal manifesto “Pandemonium” del 1962 realizzato con Eugen Schönebeck, sulla scia di Antoin Artaud – scrittore, poeta, uomo di teatro. di cinema, nonché autore di stupefacenti autoritratti a inchiostro, ultra-esistenzialista e padre del “Teatro della crudeltà” – portano all’onanismo de “La grande notte nel secchio” metafora del sesso e del suicido nella Germania nazista, giungendo ai quadri capovolti e alle “pinturas negras”.

L’artista è sempre stato un soggetto scomodo nell’arte ufficiale, nell’ambiente politico; la Germania Orientale degli anni Cinquanta, l’Europa, rifiutano quegli eroi decadenti dopo il clamore di Norimberga, concentrandosi sull’espansione economica sostenuta dal Piano Marshall. Baselitz è un artista libero, intellettuale, insofferente come Albert Camus, Antonin Artaud, Boris Vian, Curzio Malaparte, Pier Paolo Pasolini. E’ un uomo radicale, che obbliga le coscienze sopite ad un doloroso esame, alla vivisezione dell’anima, al disgusto, alla nausea di Jean Paul Sartre e all’amarezza di Albert Camus.

L’esistenzialismo mette ogni uomo in possesso di ciò che è, cade su di lui la responsabilità totale della sua esistenza, l’uomo è responsabile di se stesso, non solo nella sua individualità ma per tutti gli uomini. Le pose ritratte sono quelle di chi non può più aspettarsi niente, soldati che nonostante tutto non abbandonano la posizione, fedeli a se stessi, bisognosi di credere in una causa, dopo la scoperta della scomoda inesistenza di Dio.

Le tele sorgono dalle macerie di un incubo esplorato da Rossellini in “Germania Anno Zero”, Baselitz nel suo profondo è un neorealista, in modalità atipica. L’artista non dipinge mai folle, ma solo individui singoli, con la sola eccezione, sarcastica, degli “Amici”.

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