Mike Tyson, con pene finto eludeva antidoping

La dipendenza dalla cocaina lo costringeva a trovare soluzioni estreme "un mio assistente faceva la pipì in un pene finto che io nascondevo dentro le mutande"

Mike Tyson, con pene finto eludeva antidoping

Nella sua autobiografia l’ex campione del mondo rivela i retroscena della sua “vita spericolata”.

Mike Tyson non ha certo alle spalle una vita da educanda, ma quanto emerge dalla sua autobiografia ha davvero del romanzesco. In attesa dell’uscita ufficiale della sua ultima autobiografia, ”The Undisputed Truth”, proseguono le anticipazioni dei giornali sui retroscena più scabrosi e licenziosi della vita del campione di pugilato. Tyson è sempre stato un personaggio sopra le righe e mai molto malleabile, ma le accuse di dipendenza da sostanze non hanno mai avuto riscontri nelle analisi eseguite dall’antidoping. Eppure secondo il britannico Mirror l’ultima fase della sua carriera è stata fortemente condizionata dalla dipendenza dalle droghe, soprattutto cocaina e marijuana, a causa della quale è anche risultato positivo e multato di 200mila dollari. Ma quella del 2000 è stata la sua unica positività dal momento che assieme al suo team, a partire dall’incontro del 2000 ad Hampden Park contro Lou Savarese, aveva escogitato un piano infallibile per aggirare i controlli. “La storia di tutte le guerra è una storia di droga. Tutti i grandi generali e combattenti erano drogati in battaglia. E così anche io. Finito il match, un mio assistente faceva la pipì in un pene finto che io nascondevo dentro le mutande. E con quell’urina riempivo le provette dell’antidoping”.

La  sua ultima autobiografia. “Undisputed Truth” (“Verità all’unanimità”),  confessione senza censure nè reticenze che lo stesso Tyson ha portato in scena nei teatri americani nell’ultimo anno, uscirà la prossima settimana negli Stati Uniti, ma il britannico Daily Mail oggi ne ha anticipato alcuni stralci. Tyson racconta senza peli sulla lingua l’infanzia turbolenta, la salvezza prima trovata nel ring ma persa in seguito alla morte di Cus D’Amico, più di un allenatore, il suo mentore.

Quindi la caduta negli abissi del vizio, la violenza senza più argine, la condanna per lo stupro a Desiree Washington e gli anni in carcere. Una detenzione così promiscua da fargli desiderare, una volta fuori, di “staccare la testa a qualcuno”, magari il suo odiatissimo ex promoter Don King, proprio per poter ritornare in cella. Oggi Tyson si descrive come un uomo alle prese con il colossale sforzo quotidiano di vivere una vita normale, come quella di chiunque altro, ma non nega di avere frequenti nostalgie per i tempi in cui trascorreva le notte nei più licenziosi stripclub accompagnato da spogliarelliste e cocaina.

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